Interviste

Intervista a cura di Daniela Dose per la rubrica “Il mondo della fiaba”                          12 novembre 2021 – Radio “La voce nel deserto” 

Sam e Pen 

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DIANORA TINTI letteratura e…dintorni, 28 gennaio 2021

Il volo di Sara

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GIORNATA DELLA MEMORIA: IL VOLO DI SARA

 

“Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia.”
Primo Levi

Per celebrare la Giornata della Memoria, abbiamo realizzato questa speciale intervista alla scrittrice Lorenza Farina autrice del libro Il volo di Sara (Fatatrac). Le illustrazioni sono state realizzate da Sonia Maria Luce Possentini.

Il libro racconta, con estrema delicatezza, l’incontro tra una bambina e un pettirosso, nel contesto drammatico di un campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale. Il piccolo pettirosso deciderà di portare con sé questa nuova amica dal nastro azzurro tra i capelli, perché la Shoah e i campi di concentramento sono cosa troppo crudele per una bambina.

Un racconto che può aiutare i più piccoli a conoscere la Shoah.

Chi è Lorenza Farina

Lorenza Farina

Lorenza Farina è nata a Vicenza. Dopo la Laurea in Materie Letterarie, ha lavorato come bibliotecaria occupandosi di promozione della lettura e di letteratura per ragazzi. Oggi si dedica a tempo pieno alla scrittura. Ha pubblicato una trentina di libri tra romanzi, racconti e albi illustrati, ottenendo prestigiosi riconoscimenti.

Le sue storie, oltre che divertire, propongono ai giovani lettori tematiche che fanno riflettere. Da anni incontra bambini e ragazzi, raccontando la sua passione per le storie e per la magia della narrazione.

Per saperne di più: www.farinalorenza.altervista.org

Lorenza, ci parli di lei e del suo incontro con la letteratura…

“La scrittura fa parte di me. Posso dire con un po’ d’ironia di essere nata con la penna in mano. Mi piace scrivere soprattutto per i bambini, forse perché c’è ancora una parte di me che è rimasta bambina e che ama fantasticare, inventare situazioni e personaggi.

Quando scrivo delle storie molti sono, infatti, i riferimenti anche inconsci alla mia infanzia. Sono convinta che, in fondo, tutte le storie che si raccontano pescano dentro quell’unico pozzo profondo che è l’infanzia, cioè il tempo in cui le emozioni sono vissute intensamente e ogni esperienza positiva o negativa rimane impressa nell’animo come una cicatrice sulla pelle. Se oggi sono diventata una scrittrice devo dire grazie anche alle mie nonne che mi hanno trasmesso la loro arte di contastorie. I loro racconti li conservo ancora nello scrigno della memoria.

Crescendo sono diventata bibliotecaria e così ho scoperto e imparato ad amare la letteratura per l’infanzia e non solo, un vero e proprio giardino segreto dove è bello perdersi. Leggendo le storie di altri scrittori ho afferrato delle visioni che mi hanno stimolato a diventare a mia volta autrice. Oggi mi dedico a tempo pieno a questa “passione” di cui non posso fare a meno, perché è come il mio respiro. Ho una predilezione per le storie ambientate nel verde, perché i prati, il giardino, gli alberi sono come libri da sfogliare e da leggere con rispetto e amore.

Amo le storie brevi che si adattano a un albo illustrato, perché nella mia testa la trama e i personaggi nascono già a colori. Scrivere un racconto breve è come cogliere l’attimo, è come assistere a una luminosa epifania. Non a caso le mie autrici preferite sono Virginia Woolf Katherine Mansfield che hanno saputo trasferire nella loro scrittura i momenti d’essere della vita. Vorrei avere più tempo da dedicare alla scrittura ma, in realtà, il richiamo delle storie e dei libri è così irresistibile che il tempo, alla fine, lo trovo sempre. Il premio più grande è quello di svegliarmi la mattina con una nuova storia da raccontare. Allora mi siedo di fronte alla finestra che dà sul prato e inizio a volare con la fantasia in un mondo immaginario dove alla fine mi perdo”.

Quanta delicatezza richiede, scrivere un libro per ragazzi che tocca il tema della Shoah?

“Per raccontare la Shoah ho cercato aiuto nella bellezza e nella poeticità delle immagini che la scrittura evoca. Lasciare a chi legge il compito di riempire i vuoti tra le righe, soprattutto nei momenti emotivamente più forti e drammatici, vuol essere un segno di delicatezza e di rispetto verso il lettore che può assecondare la propria sensibilità e sentirsi ancora più partecipe del racconto.

Affrontare tematiche delicate come quelle della Shoah in un libro rivolto ai bambini e ai ragazzi non è sicuramente facile. Ho provato a farlo con rispetto, delicatezza, usando metafore poetiche e sguardi profondi per comporre un quadro credibile, il più possibile riguardoso dell’argomento e dei sentimenti di ognuno. Parlarne non darà risposte, ma sicuramente susciterà delle riflessioni importanti che saranno di stimolo per un dialogo con i bambini e con i ragazzi”.

Come è nato questo libro?

“Ricordo che per scrivere il Il volo di Sara, sono partita dall’immagine finale, quella di un volo di uccelli che prestano le loro ali a Sara, la protagonista, e ad altri bambini prigionieri in un lager. Da questa visione si è poi dipanata tutta la storia.

Ho cercato di raccontare l’indicibile, cioè la vicenda umana di una bambina ebrea in un campo di sterminio, narrata però da un osservatore insolito, un pettirosso che mostra di avere un cuore e una sensibilità che non possiedono invece le bestie vere che governano quel luogo di dolore e di morte.

Appena Sara, all’arrivo, viene separata dalla mamma, l’uccellino decide di farle da padre e da madre. È un racconto dove le parole delicate e nello stesso tempo forti per il loro valore metaforico s’intrecciano con le immagini intense di Sonia M.L. Possentini.

Non c’è un lieto fine anche perché nella storia vera, quella con la S maiuscola, non c’è stato un lieto fine.

Di fronte alla tragedia umana, comunque, vi è una piccola via d’uscita, qui rappresentata dalla figura dell’uccellino che starà sempre accanto alla bambina e la proteggerà fino a donarle le sue ali per l’ultimo volo“.

Descriva il suo libro con tre colori…

“Ne Il volo di Sara risaltano tre colori: il grigio/nero del paesaggio e del fumo che esce lento da un alto camino. L’azzurro del vestitino di Sara, del nastro che le cinge i capelli richiamano l’azzurro del cielo descritto alla fine del racconto. Quel cielo azzurro non più grigio sta ad indicare la speranza in una vita migliore, in un altrove senza violenza né dolore né morte. Il rosso/arancio del pettirosso rappresenta il calore umano che la bestiola offre alla bambina. Il rosso del treno, invece, sta ad indicare il sangue che verrà versato. È un treno sanguinante”.

Quali sono i suoi 10 libri preferiti.

“Tra i miei 10 libri preferiti ci sono anche alcuni classici della letteratura giovanile: Il diario di Anna Frank, Piccole donne di L.M. Alcott, I ragazzi della Via Pal di Ferenc Molnár, Vacanze all’Isola dei Gabbiani di Astrid Lindgren, L’estate di Garmann di Stian Hole, Il buio oltre la siepe di Harper Lee, Il fantasma di Thomas Kempe di Penelope Lively, Il giardino di mezzanotte di Philippa Pearce, I Racconti di Katherine Mansfield, Gita al faro di Virginia Woolf“.

Progetti per il futuro?

“Ho sempre tante storie che mi frullano in testa come Agata, la protagonista del mio libro I Sogni di Agata (La Margherita Edizioni, illustrazioni di S.M.L. Possentini) che si accapigliano per uscire e camminare con le loro gambe.

Il prossimo mese di febbraio 2021 uscirà Sam e Pen (Edizioni Paoline), un albo illustrato da Valentina Malgarise che tratta il tema della malattia oncologica. Ho scritto dei brevi racconti ancora in cerca di editore, ma non ho fretta, prima o poi arriverà l’occasione che permetterà a questi “sogni di carta” di diventare libri veri e propri che potranno essere letti da grandi e piccoli, perché le belle storie non hanno età”.

 

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RADIO INBLU, 25 gennaio 2020

Come ali di gabbiano

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Parola ai bambini – L’importanza della memoria

Il 27 gennaio si celebra la Giornata della memoria. Occasione per spiegare anche ai bambini l’importanza di non dimenticare le vittime dell’Olocausto. Lo fa anche Parola ai bambini, con l’aiuto di Lorenza Farina e della storia di Anna Frank.

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RADIO CAPODISTRIA, 23 gennaio 2018

Il ciliegio di Isaac

ASCOLTA L’INTERVISTA

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RADIO CORA

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FARINA: “RACCONTARE LA SHOAH AI BAMBINI PER VIVERE IL PRESENTE RESPONSABILMENTE”

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“La paura di parlarne è legata alla consapevolezza degli adulti.” Così Lorenza Farina, già bibliotecaria e autrice di libri per bambini, parla della difficoltà di raccontare la Shoah ai piccoli lettori.“

«Tacere è proibito e parlare è impossibile» diceva uno dei sopravvissuti ai campi di concentramento e raccontare le storie dell’Olocausto, già nell’infanzia, influenza i bambini a mantenere la memoria di questi eventi, a costruire una società più tollerante, non perdendo quella speranza di cui sono stati privati i bambini dei campi di concentramento”.

“La narrazione è importante a far capire che in ogni situazione, in ogni luogo per quanto tetro, terribile, crudele nessuno può togliere dal cuore di una persona i suoi sogni, i suoi ideali, la sua dignità di essere umano“. Anche oggi, nei confronti di chi è diverso da noi per colore della pelle o fede religiosa. “Il linguaggio è molto importante quando si parla ai bambini di questi temi. Bisognerebbe usare sempre un linguaggio pacato”.

Fra i libri dell’autrice: Il mal di pancia della luna (Panini ragazzi, 2005) I sogni di Agata (La Margherita edizioni, 2011), Viola non è rossa (Kite edizioni, 2008, ristampa 2013), Il guerriero di legno, (Lineadaria editore, 2014), La bambina del treno (Paoline, 2010), Il volo di Sara (Fatatrac, 2011), La casa che guarda il cielo. Storia di Anna Frank, (Edizioni Raffaello, 2014).

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LA DOMENICA DI VICENZA, 27 gennaio 2018

a cura di Alessandro Scandale

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Il ciliegio di Isaac
la tragedia dei campi
di concentramento

Farina, perché ha scritto ancora un libro sui bambini e la Shoah e che importanza ha per lei questo tema?

Il ciliegio di Isaac (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Questo libro può considerarsi l’ultimo di una trilogia di albi illustrati che ho pubblicato sul tema della Shoah, rivolto ai giovani lettori, dopo La bambina del treno e dopo Il volo di Sara. Il ciliegio di Isaac si apre con l’immagine poetica di un nonno e di un nipotino che ammirano insieme un ciliegio in fiore nel giardino di casa. Sarà il ricordo di questa bellezza, la sorgente di speranza che aiuterà il piccolo protagonista a sopravvivere in quel luogo di sofferenza che è il campo di concentramento. È un tema, quello della memoria, che mi ha sempre interessato e colpito, fin da bambina quando sentivo i miei nonni raccontare episodi di guerra dove i protagonisti erano persone vere, conoscenti o compaesani che non avevano più fatto ritorno, perché avevano trovato la morte in guerra o in un campo di concentramento. Poi, da adolescente, ho scoperto il Diario di Anna Frank che ancora oggi affascina e commuove tanti giovani lettori per la sua grande forza morale e umana. Mi sento una testimone “per vocazione”. E questa testimonianza della Shoah, che rappresenta per me un dovere morale e civile, la offro attraverso le mie storie narrate ai bambini e ai ragazzi. Si deve conoscere, perché la memoria si costruisce sulla base del sapere. Queste storie aiutano chi legge a ricordare, a recuperare un passato che non si può nascondere. È importante e necessario spiegare la Shoah ai bambini che, come tutti, hanno il diritto di sapere e il dovere di non dimenticare. Soprattutto è doveroso insegnare ai bambini i valori universali correlati alla Shoah che permettano loro di convivere pacificamente conoscendo e accettando l’altro”.

Come raccontare ai bambini questa importante e difficile tematica, come renderli partecipi di una vicenda così dolorosa e drammatica?

“In attesa che possano, crescendo, approfondire l’argomento, ho cercato di offrire loro questi racconti per immagini e parole che trovano vie più adatte alla loro età e sensibilità. Sicuramente il linguaggio della narrazione è quello più appropriato per avvicinarli a questa tematica, una narrazione dove i fatti siano visti dagli occhi di un bambino. Una letteratura-testimonianza, anche se prodotta da una finzione letteraria, può aiutare i più piccoli a conoscere la Shoah e a non dimenticare. La Memoria quando diventa consapevole volontà di non ripetere gli errori del passato diventa speranza, speranza in un futuro migliore”.

Quali sono i valori umani che ha voluto mettere in risalto?

“Questo libro può rappresentare un punto di partenza per raccontare gli orrori della guerra e della persecuzione degli ebrei, ma anche per ricordare che nell’animo umano dimorano sentimenti di altruismo, di rispetto per il diverso, di generosità verso i più deboli. Un albo adatto ai bambini, ai ragazzi e non solo, di forte denuncia, ma insieme di riscatto che, oltre a mostrare il lato oscuro dell’uomo, evidenzia anche l’amore e la solidarietà di cui è capace l’essere umano. Una storia che deve essere spiegata, per parlare di discriminazioni presenti e passate, in un’epoca come la nostra che vede, purtroppo, il ritorno del negazionismo e di inquietanti episodi di antisemitismo che non possono lasciarci indifferenti”.

Il ciliegio di Isaac (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Quale messaggio vuole mandare alle giovani generazioni?

“Siamo tutti parte di un’umanità che deve trovare la sua essenza nella solidarietà, nel rispetto della diversità e nel coraggio di vivere con gli altri e per gli altri: questo emerge naturalmente tra le righe in modo chiaro e toccante. La levità della narrazione accarezza la mente di chi ricorda e commuove l’animo di chi, ora, ha in mano il testimone da trasmettere ai figli e ai nipoti. Per non dimenticare occorre passare il testimone, dire, raccontare, scrivere, documentare, perché si sappia ancora e sempre, perché non accada mai più. È questo il messaggio che ho voluto offrire ai giovani lettori attraverso i miei libri che ricordano la Shoah e che parlano dell’importanza, soprattutto oggi, del fare memoria”.

Pedron, come si è trovata ad illustrare un libro su un argomento così delicato?

“Illustrare un racconto non è mai un lavoro semplice. Per quanto mi riguarda, bisogna entrare nel testo in punta di piedi, come si fa quando s’inizia a conoscere qualcuno. Occorre dedicargli molto tempo, comprendere in profondità ogni singola parola e poi interpretarlo secondo il proprio sentire. Questo libro per me è stato amore alla prima lettura e dopo aver letto il racconto scritto da Lorenza Farina, ho accettato subito la sfida di illustrarlo. La ricerca storica del tema trattato non è stata facile; mi ha messo di fronte a molteplici immagini drammatiche che, talvolta, mi hanno lasciata turbata. Nel dare alla luce alcune illustrazioni, ho cercato di immergermi, per quanto umanamente possibile, nel dolore atroce di un bambino che viene strappato alla mamma per essere rinchiuso in un lager. Questa, per me, è stata forse la fase più dura. Anch’io ho percepito, insieme a Isaac, quel dolore”.

Come si organizza nella pratica un lavoro a quattro mani e che genere di collaborazione si instaura?

Il ciliegio di Isaac (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Solitamente un testo viene affidato dall’editore a un illustratore in base anche all’affinità di stile. Un racconto per bambini molto piccoli avrà delle immagini adatte a loro, con poche figure nitide, dai contorni e colori precisi. Compito dell’illustratore è creare uno storyboard iniziale dove si decide la suddivisione del testo, in base al numero di pagine del libro, gli schizzi delle scene da illustrare, le inquadrature, lo spazio per le parole. Si dà forma a una bozza del libro. Una volta discusso e approvato lo storyboard, insieme con l’autore e l’editore, l’illustratore procede alle tavole definitive. Nel mio caso con Lorenza è nata una bella e costruttiva collaborazione, un lavoro di squadra, fatto di confronti e di decisioni discusse e condivise, rispettando la reciproca libera espressione. Ci siamo incontrate più volte durante la fase progettuale e questo grazie anche alla fortuna di abitare nello stesso territorio. Spesso illustratore e autore non si vedono mai, spesso è la casa editrice che decide a quale illustratore affidare un testo e dare vita al progetto senza la partecipazione dell’autore. Io credo che la formula vincente sia la collaborazione fra le tre parti; un lavoro a sei mani”.

Quale importanza hanno le immagini nei libri dedicati ai più piccoli?

“Sono molto importanti, vorrei dire fondamentali. Testo e immagine non sono separati, uno non descrive l’altra, bensì si completano, si intrecciano, dialogano fra loro in uno stretto rapporto.

La frase che più mi ha colpita durante la mia esperienza in questo meraviglioso mondo dell’illustrazione è stata una citazione della grande illustratrice e artista Pacovská: “Un libro illustrato è la prima galleria d’arte che un bambino vede”. Abituare i bambini alla bellezza, alla cura, all’originalità e poeticità delle immagini, è essenziale. Esse aprono la mente di chi guarda, lasciano spazio a nuovi modi di vedere, raccontano da un punto di vista diverso. Non solo descrivono il testo, ma attraverso un gioco d’interpretazione, gli aggiungono valore. Questo connubio fra narrazione e immagine stimola la creatività e la fantasia del bambino, prerogative fondamentali per la sua crescita”.

Lorenza Farina è nata a Vicenza dove ha lavorato come bibliotecaria. Le piace scrivere per bambini e ragazzi con una predilezione per le storie ambientate nella natura. Ha pubblicato una ventina di libri tra romanzi, racconti, fiabe e filastrocche, ottenendo molti riconoscimenti. Per Paoline ha scritto La bambina del treno (2010) e Andrea non ha più paura (2017).

Anna Pedron, illustratrice, vive in provincia di Vicenza. È laureata all’Accademia di Belle Arti di Venezia e specializzata in illustrazione alla Scuola internazionale di Sarmede, il paese delle fiabe nel Trevigiano. Come lei stessa dice, “è innamorata del mondo dell’illustrazione e grazie all’illustrazione e ai libri illustrati la sua immaginazione e la sua fantasia trovano casa”.

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UNA MAMMA NEL PAESE DEI LIBRI, gennaio 2019

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Raccontare la Shoah ai bambini grazie all’albo illustrato: intervista a Lorenza Farina

Il volo di Sara particolare

Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale che si celebra il 27 gennaio di ogni anno, per ricordare le vittime dell’Olocausto.

Da mamma di due bambine, mi sono chiesta se fosse giusto affrontare con loro questo argomento, in quale modo e con quali tempi. Ma soprattutto mi sono chiesta perchè parlare a dei bambini di vicende tanto atroci. È possibile parlare di campi di sterminio senza traumatizzarli?

Mentre preparavo questo articolo, Beatrice che ha cinque anni ha visto la copertina del libro Il volo di Sara di Lorenza Farina, illustrato da Sonia Maria Luce Possentini, per Fatatrac. Attratta dalle suggestive e potenti illustrazioni in bianco e nero mi ha domandato di cosa parlasse. Ho cercato di spiegarglielo con parole molto semplici, perchè è ancora piccola. Alla fine le ho chiesto perchè secondo lei fosse giusto parlare di queste cose, e lei mi ha risposto: ” Perchè non succedano più mamma”. Questa risposta, spontanea e immediata di una bambina di cinque anni, mi ha spiazzata per la sua verità semplice e allo stesso tempo profonda.

E allora ecco un’intervista a Lorenza Farina, bibliotecaria e autrice di diversi libri per bambini e ragazzi. In particolare ha scritto tre albi illustrati dedicati al tema dell’Olocausto:

La bambina del treno (Paoline, 2010, illustrato da Manuela Simoncelli), Il volo di Sara (Fatatrac, 2011, illustrato da Sonia M. L. Possentini) e Il ciliegio di Isaac (Paoline, 2017, illustrato da Anna Pedron).

In alcuni suoi libri Lei tratta, in maniera spesso molto potente, il tema dell’Olocausto. Perché secondo Lei è importante parlarne con i bambini?

Per rispondere a questa domanda prendo a prestito un’affermazione significativa di Elie Wiesel, ebreo, sopravvissuto alla Shoah, premio Nobel per la pace, il quale disse, riferendosi all’importanza del raccontare la Shoah, che:Tacere è proibito, parlare è impossibile”. Bisogna, cioè, conservare la memoria di questi eventi, perché non vengano cancellati dal tempo, ma trovare le parole adatte per dire tanta violenza, tanta disumanità, è quasi impossibile. A mio avviso, é importante e necessario far conoscere la Shoah anche ai bambini che, come tutti, hanno il diritto di sapere e il dovere di non dimenticare.
Soprattutto è doveroso insegnare alle giovani generazioni i valori universali correlati alla Shoah che permettano loro di convivere pacificamente, conoscendo e accettando l’altro. I miei racconti possono essere un esempio di come una storia vera, ormai lontana, complessa e drammatica possa essere narrata quando si conoscono le capacità dei bambini di affrontare qualsiasi argomento se questo è portato al loro livello emotivo.

E come può un albo illustrato esserci d’aiuto?

L’albo illustrato nel suo intreccio tra parole e immagini è uno strumento efficace e irrinunciabile per riuscire ad affrontare con i bambini tematiche non facili, considerate un tempo tabù come la morte, il razzismo, la guerra e ogni forma di violenza. Al riguardo la scrittrice Nadia Terranova, in un suo interessante articolo, ha sottolineato come “in questi ultimi quindici anni gli albi illustrati abbiano raccontato la Giornata della Memoria nel modo più delicato e letterario possibile.” 
Un albo non è solo un libro con delle immagini, è un’esperienza irripetibile in cui parole e illustrazioni si alternano senza mai ridursi l’uno a essere la didascalia dell’altro, venendosi in aiuto reciproco, fermandosi con pudore e consapevolezza per farsi spazio. Può darsi che sia il testo ad aver bisogno dell’illustrazione oppure viceversa; entrambi non sono fissi, immobili, ma raccontano una trasformazione. Questa mobilità rende la storia fluida e nel cambiamento c’è sempre un piccolo posto per la speranza. E poi c’è la delicatezza della poesia: si può non scrivere mai la parola morte, si può non disegnarla mai esplicitamente, e tuttavia evocarla con la potenza di un dettaglio o la rappresentazione dell’assenza”.

Da che età si può iniziare ad affrontare questo argomento?

Non sarei tassativa nell’indicare un’età precisa in cui iniziare a trattare questo difficile argomento. Dipende anche dal soggetto che si ha di fronte. Basandomi sulla mia esperienza personale, forse, l’età più indicata è dagli 8 anni in su.

C’è un modo che Lei ritiene più giusto per spiegare la Shoah ai bambini?

Sicuramente il linguaggio della narrazione è quello più appropriato,una narrazione dove i fatti siano visti dagli occhi di un bambino, come avviene nei miei libri: La bambina del treno o ne Il ciliegio di Isaac (Edizioni Paoline) oppure ne Il volo di Sara (Edizioni Fatatrac). Il narrare ha sempre un ruolo salvifico perché “nei momenti bui – come ricorda la poetessa Vivian Lamarque – abbiamo bisogno ancora che qualcuno ci canti”.
In attesa che i bambini possano, crescendo, approfondire l’argomento a livello scolastico, seguendo un determinato percorso di conoscenza storica, ho cercato di offrire loro dei racconti per immagini che trovino vie più adatte alla loro età e sensibilità. Una letteratura-testimonianza, anche se prodotta da una finzione letteraria, può aiutare i più piccoli a conoscere la Shoah e a non
dimenticare.
Nei miei racconti, dove fantasia e realtà s’intrecciano, mi sono affidata alla dimensione allegorica della letteratura per l’infanzia, al suo lirismo magico attraverso immagini di forte impatto emozionale dove anche il silenzio può urlare ed essere assordante. La parola letteraria, il racconto d’invenzione, giunge direttamente al cuore, al sentimento. Il bambino lettore ha modo così d’interrogarsi sul senso dell’esistenza, ha modo di conoscere parole come: paura, solidarietà, gioia e sofferenza, vita e morte. Queste storie aiutano chi legge a ricordare, a recuperare un passato che non si può nascondere, ma che deve, per essere compreso, diventare anche un luogo dell’immaginario. Significa promuovere la letteratura come strumento di conoscenza storica, significa riconoscere nella narrativa la capacità effettiva di essere ponte per il passaggio dalle storie alla Storia.

Personalmente sono rimasta molto colpita dal libro Il volo di Sara, edito da Fatatrac, con le illustrazioni di Sonia M. L. Possentini. Ci racconta come è nato questo libro?

Questo libro è la naturale continuazione de La bambina del treno che narra il viaggio di Anna verso ignota destinazione. La piccola protagonista, chiusa in un carro bestiame insieme alla mamma e ad altri disperati con la sola “colpa” di essere ebrei, va incontro al suo destino, ignara di ciò che l’aspetta ad Auschwitz. Il finale è aperto e molti bambini che hanno letto questa storia mi chiedevano come sarebbe andata a finire. Per questo ne Il volo di Sara mi sono spinta più in là. Ho cercato di raccontare l’indicibile, cioè la vicenda umana di una bambina ebrea in un campo di concentramento, narrata però da un osservatore insolito, un tenero pettirosso che mostra di avere un cuore e una sensibilità che non possiedono invece le “bestie” vere che governano quel luogo di dolore e di morte. Appena Sara, all’arrivo, verrà separata dalla mamma, l’uccellino decide di farle da padre e da madre. E’ un racconto dove le parole delicate e forti per il loro valore metaforico s’intrecciano con le immagini intense di Sonia M.L. Possentini. Non c’è un lieto fine anche perché nella storia vera, quella con la S maiuscola, non c’è stato un lieto fine. Di fronte alla tragedia umana, comunque, c’è sempre una piccola via d’uscita, qui rappresentata dalla figura dell’uccellino che starà accanto alla bambina e la proteggerà fino a donarle le sue ali per l’ultimo volo.
La vicenda è inventata, ma le circostanze del racconto sono la parte buia della nostra storia che non si può eludere. E’ una storia diretta e sincera quella che ho raccontato ai giovani lettori, mettendo fra di essi e la piccola protagonista, la distanza di un volo d’uccello e la sua voce gentile. Mi ha accompagnato lungo le pagine l’arte dell’illustratrice Sonia Maria Luce Possentini, fatta di
intensi bianchi e neri, con piccoli tocchi di colore che illuminano paesaggi altrimenti senza speranza. Nel momento in cui la storia di Sara e la storia dello sterminio del suo popolo si fanno via via più terribili, il nero si dirada dalle pagine e il bianco vela l’orrore del campo di sterminio, fino a stemperarsi nell’azzurro di un cielo che guarda al futuro.
Lorenza Farina
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RADIO INBLU, 27 gennaio 2018

Il Ciliegio di Isaac

Ascolta l’intervista al seguente link: INTERVISTA

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Andrea non ha più paura copertina

IL POSTO DELLE PAROLE, 18 febbraio 2017

Andrea non ha più paura

Ascolta l’intervista al seguente link: INTERVISTA

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RADIOCAPODISTRIA, trasmissione Dorothy & Alice, 14 marzo 2017

Andrea non ha più paura

Ascolta l’intervista al seguente link: INTERVISTA

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LA PAURA NEI BAMBINI

Dal blog edufrog.it, 23 maggio 2017

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Lorenza Farina, ex bibliotecaria, ha pubblicato una ventina di libri tra romanzi, racconti, fiabe e filastrocche: Il mal di pancia della luna, Panini ragazzi, 2005; I sogni di Agata, La Margherita edizioni, 2011; Viola non è rossa, Kite edizioni, 2008; Il guerriero di legno, Lineadaria, 2014; La bambina del treno, Paoline, 2010; Il volo di Sara, Fatatrac, 2011; La casa che guarda il cielo. Storia di Anna Frank, Edizioni Raffaello, 2014.

Le ho chiesto di parlarmi di Andrea non ha più paura e lei prontamente mi ha risposto con una lettera fiume, da cui estrapolo:

Andrea, da quando il papà è partito, con la promessa di tornare presto, deve fare i conti con le sue paure. Teme soprattutto il buio e i rumori della notte. A consolarlo, c’è un vecchio ulivo, in giardino.
Si crea tra albero e bambino una relazione fruttuosa, un giocoso dialogo fatto di rimandi che a ogni paura del bambino offre una risposta rassicurante.
Ognuno ha il suo nido. Andrea lo trova tra i rami di un vecchio ulivo. Un altro bambino si raggomitola sotto le coperte, aspetta la carezza della mamma e del papà e si addormenta, lì nel suo nido, perché sa che nulla di male potrà accadergli. Per altri il nido è avere vicino la bambola preferita o un orsetto di peluche. Per altri è la musica rilassante da ascoltare sprofondati in poltrona. Per altri ancora è un quadro appeso alla parete regalato da un amico o una poesia da recitare a memoria ad occhi chiusi.
Il nido può essere una persona cara che ci accoglie a tal punto che ci sentiamo circondati da lei e nessuna minaccia può scalfirci. Lei è nido per noi e, magari, noi siamo nido per lei.
Nessuno è così forte da non avere bisogno di un nido. Chi dice di non averlo, dice una bugia.

 

Trovo molto delicato il testo, che non ha fretta di rassicurare il lettore ma lo accompagna nella paura di Andrea: la voluta indeterminatezza circa le cause dell’assenza paterna arricchiscono il racconto aprendolo a mille possibilità, ed è in questa chiave che la storia acquisisce corpo, ai miei occhi: è l’universalità della manifestazioni di paura a renderla interessante, in un mondo che spesso intende anestetizzare l’infanzia allontanandola in maniera irrazionale da qualunque tipo di fatica e timore, con l’illusione di poter garantire un’esistenza idilliaca, ovattata, simile a modelli pubblicitari che, anche quando possibile, non favorirebbero una maturazione sentimentale e civica. La tendenza a rimuovere ogni tipo di ostacolo, oggi, assume caratteristiche che hanno del patologico, basti pensare alle soluzioni adottate per fare ciucciare ai bambini il cibo anziché inghiottirlo, per timore che si soffochino, oppure a quanto viene posticipato l’uso del coltello a tavola, per timore di ferite. Questa diffusa tendenza a rimuovere ogni sorta di fatica e ostacolo, comprese le piccole frustrazioni, non giovano allo sviluppo delle risorse personali.
Paura e dolore, fantasie di morte e ambivalenze, fanno parte della vita: esplorarle, nominarle, rende le persone ricche, sensibili, consapevoli. L’importante è non esporre i bambini a più di quanto possano com-prendere, cosa che avviene sovente, in una pornografica sovraesposizioni a immagini non accompagnate da opportunità riflessive, soprattutto intorno al 27 gennaio.

Non è il caso di questo delicato albo, frutto di una collaborazione con l’illustratrice Manuela Simoncelli, da cui aveva già avuto i natali La bambina del treno, ancora una volta per le Paoline.
Ecco come  il visivo racconta la storia: fin dal risguardo viene dichiarato che il tema è la ricerca e il bisogno di un nido. Amplificazioni e frizioni tra immagini e testo aprono tagliano poeticamente il racconto, ad esempio: quando nel testo scritto si dice che la casa di Andrea è diventata troppo grande per l’assenza del padre, la Simoncelli disegna una casa piccolina, con una sola finestra e neppure una porta: sembra un volto ammutolito, piccola, sotto l’albero, che pare proteggerla, a rispecchiamento di Andrea, chiuso in se stesso, protetto dalle fronde dell’albero.

Gli oggetti parlano in questo albo: la coperta sotto alla quale si nasconde Andrea mantiene la madre presente, a ricordarne l’abbraccio rassicurante. L’armadio con le ante aperte non mostra nulla di sé, un freddo buio lo riempie, è fatto di bosco dove l’oscurità fa ancora più paura. Questo armadio diventa più che mai luogo di smarrimento.
Anche la giostra di pecorelle appesa nella stanza di Andrea ricorda la mamma attraverso il dondolio che evoca ninne nanne sussurrate.

Animali e piante sono compagni di viaggio e specchio:

La paura di Andrea cresce ed appare il gigante di ferro. La sua pancia è una grata, una prigione, in cui si attorciglia il filo rosso che lega e blocca un volo di uccello. Il secchio nel braccio di ferro imprigiona l’altro uccellino, bianco dalla paura. La capinera, invece, sembra voler sminuire l’orrore. Se ne sta appollaiata sul dito gelido, metallico del mostro. Il pezzetto di filo rosso che tiene nel becco è spezzato. Come un annuncio di liberazione.
L’uccellino porterà poi nel suo nido tutto quello che trova nella storia, attraversando in volo le tavole illustrate: entrano fugacemente nella pagina lo scoiattolo e il gatto, mentre lui continua indisturbata la raccolta.
Come in una danza tra il fogliame, Andrea si lascia prendere dal sonno. Attorno a lui, tra i rami, una volpe, due gatti e l’uccellino che sembra guardare fuori campo il nido ormai completato. La poltrona preferita del papà, la sua tazza di tè, la brocca e la cassettiera, raccontano il calore della casa tra i rami, dove penzola un lampadario.

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LA DOMENICA DI VICENZA.IT, 8 aprile 2017

a cura di di Alessandro Scandale

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Andrea non ha più paura (Edizioni Paoline) è il nuovo libro illustrato per bambini che la vicentina Lorenza Farina ha pubblicato affiancandolo ad alcune presentazioni nelle migliori librerie della provincia, una delle quali in marzo nella prestigiosa Palazzo Roberti a Bassano del Grappa, mentre la prossima in calendario sarà il 21 aprile alle 17.30 a Vicenza da Galla Libraccio. Un piccolo grande libro poetico in cui si affronta il tema della separazione e si mostra il potere benefico della natura e l’importanza della figura dei nonni, pilastro della società e forse troppo spesso dimenticati o non sufficientemente riconosciuti. Arricchito dalle belle illustrazioni di Manuela Simoncelli (già illustratrice de La bambina del treno), il libro mostra anche il potere benefico della natura e l’importanza della figura dei nonni, qui rappresentata dal grande e tenero Ulivo. Se nel precedente libro illustrato La bambina del treno (già raccontato a suo tempo in queste pagine) le due autrici narravano la storia di Jarek e Anna, due bambini ai tempi della seconda guerra mondiale nella terribile realtà del campo di sterminio nazista di Auschwitz, in questo nuovo volume le stesse propongono ai giovani lettori dai 5 agli 8 anni una storia delicata attraverso cui riflettere sul difficile tema della separazione.

Andrea non ha più paura (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Da quando il papà è andato via, infatti, il protagonista Andrea ha paura di addormentarsi. Per fortuna, oltre alla mamma, c’è in giardino un ulivo a proteggerlo. Una notte, Andrea sente la voce di Nonno Ulivo che lo tranquillizza e lo aiuta a superare le sue paure dovute ai rumori misteriosi che Andrea sente: quel rumore non è un drago ma il lupo che ulula, non è uno scheletro ma lo scoiattolo che sgranocchia. In una società in cui la figura paterna è sfuggente, in cui ci sono genitori separati o divorziati, in cui i bambini soffrono la mancanza paterna, il contributo delle autrici rappresenta quasi uno stereotipo: un bambino il cui padre è lontano da casa – non è dato sapere se per lavoro o per altri motivi familiari – ma che dovrebbe tornare perché il cancello di casa è sempre aperto. Andrea e la madre aspettano il suo ritorno, ma di notte il bambino ha paura del buio e tutte le sue paure prendono forma e vita, diventando di volta in volta un gigante dalle mani di ferro, un drago dagli occhi di fuoco, uno scheletro o addirittura un vampiro. Nonostante tutti i suoi sforzi per addormentarsi il sonno non arriva e proprio quando teme il peggio ecco arrivare finalmente una figura rassicurante e salvifica, quella di Nonno Ulivo, che tende i suoi rami verso di lui e lo incoraggia a non aver paura. L’albero ad ogni rumore rasserena il bambino e con i suoi forti rami lo abbraccia finché Andrea finalmente all’alba si addormenta. In questo modo Nonno Ulivo sopperisce alla mancanza del padre e gli parla, gli tiene compagnia, lo protegge finché il bambino si sveglia, un cancello si apre e dei passi percorrono il vialetto. Così Andrea può finalmente tirare un sospiro di sollievo e vedere che “il cielo non era più buio ma punteggiato di stelle”.

Andando oltre la storia in sé e volendo scavare un po’ di più nel profondo, sul tema dell’assenza del padre nella società moderna val la pena di ricordare il lavoro del noto psicanalista junghiano Claudio Risè, il quale nell’ultimo ventennio con alcuni libri di successo – uno su tutti Il padre, l’assente inaccettabile – ha sapientemente sottolineato, ispirandosi anche allo scrittore e poeta americano Robert Bly e agli antichi miti greci, come la difficoltà di essere padri sia iniziata con l’industrializzazione che ha rotto quell’unità vissuta dal padre con la famiglia, costringendolo a diventare “il grande assente”. Una difficoltà che è andata poi accentuandosi nel periodo delle due guerre mondiali, dove il padre è scomparso per necessità e la famiglia è diventata matriarcale. Mentre esplode oggi con lavori che “rapiscono” il padre, il quale riesce ad essere a casa sempre meno e a dedicare ai figli spazi sempre minori con tutte le conseguenza negative che questo comporta. Secondo Risè inoltre, la figura paterna paga oggi il rapporto con un femminile più forte: il rafforzamento del ruolo della donna nella società, fatti salvi i numerosi e giusti benefici che ciò ha portato, ha però indubbiamente contribuito anche a rendere la figura del padre più debole, specialmente dagli anni ’70 in poi, quando ha avuto inizio il radicale cambiamento della famiglia e del mondo del lavoro. In quest’ottica, il contributo che le due autrici forniscono con il libro ridona alla figura paterna quel senso di sicurezza, di potenza, di invincibilità che ogni bambino vede in suo padre ma che d’altra parte mostra anche la fragilità dei bambini quando una figura tanto importante per la loro crescita viene a mancare, anche se per poco.

A Lorenza Farina abbiamo rivolto alcune domande sul suo libro.

Andrea non ha più paura (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

Qual è il messaggio profondo che vuole trasmettere con il suo libro?

Andrea non ha più paura (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Ho cercato di scrivere una storia poetica e garbata per raccontare, attraverso la forza delle parole e la bellezza delle immagini, l’angoscia di una separazione, di una perdita, esorcizzandola magari con un sorriso o con la speranza che il sogno di un ritorno si avveri. E’ anche un invito a imparare a conoscere il linguaggio della natura attraverso l’incanto di una favola. Questo racconto per immagini e parole entra in punta di piedi nel mondo dell’affettività dei bambini. Affronta, attraverso efficaci metafore e un linguaggio accessibile, le paure di un bambino dovute alla separazione da un genitore, i cui motivi, qui volutamente non specificati, possono essere vari, comunque tutti turbano il cuore bambino e lo costringono a scavalcare le mura confortevoli dell’infanzia e a fare un cammino di crescita”.

Come i suoi precedenti, è un libro per ragazzi ma fa riflettere anche adulti e genitori?

“Il libro pone problematiche e suggerisce riflessioni profonde anche agli adulti, non sempre in grado di capire e di affrontare le paure dei bambini, che non vanno mai sottovalutate né tantomeno derise. Ai piccoli lettori Nonno ulivo sembra voglia dare con la forza delle parole e delle immagini che concretizzano le paure, la chiave per ragionare su di esse e per frantumarle. Le illustrazioni a tutta pagina svelano gli stati d’animo attraverso il colore, le proporzioni, la prospettiva. Sono poetiche, evocative come lo sono le parole per raccontare le fragilità di un bambino che ha il cuore puro capace di ascoltare la voce delicata della natura intorno a lui, di seguirla e di assecondarla al punto da diventare un tutt’uno con essa”.

La figura dei nonni, che lei ha evidenziato, è fondamentale nella società odierna?

“Certo, nell’odierna società dove le famiglie vivono spesso momenti di fragilità e di divisione al loro interno, i nonni possono colmare con la loro presenza un’assenza temporanea o duratura di uno o di tutti e due i genitori. In questo racconto l’antico ulivo metaforicamente può rappresentare l’immagine di un familiare protettivo e forte come può essere un nonno che lenisce le angosce, a volte irrazionali, del bambino protagonista, dovute all’assenza del papà. E’ un albero/padre o un albero/nonno, dunque, che rinfranca e consola il piccolo Andrea attraverso parole che si ripetono ricche di empatia, di affetto. Si crea tra albero e bambino una relazione fruttuosa come tra un nonno e il suo nipotino, un giocoso dialogo fatto di rimandi che a ogni paura del bambino offre una risposta rassicurante, quella risposta che i nonni con la loro saggezza sanno sempre offrire”.

La paura del piccolo Andrea nella storia è forse uno specchio di altre paure, più grandi, che i bambini nutrono nella vita? E come possiamo rassicurarli?

Andrea non ha più paura (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Questa storia svela quanto sia importante per ognuno di noi, adulto o bambino, avere un nido, un luogo sicuro dove sentirsi protetti dalle nostre fragilità e dalle nostre paure. Ognuno ha il suo nido. Andrea lo trova tra i rami di un vecchio ulivo. Un altro bambino nell’abbraccio della mamma, in una carezza del papà. Per altri il nido è avere vicino la bambola preferita o un orsetto di peluche. Il nido può essere una persona cara che ci accoglie a tal punto che ci sentiamo avvolti da lei e nessuna minaccia può scalfirci. Lei è nido per noi e, magari, noi siamo nido per lei. Nessuno è così forte da non avere bisogno di un nido. Chi dice di non averlo, dice una bugia. L’augurio è che questo intreccio di parole e di immagini, di rami e di foglie sia nido per ogni lettore”.

Oggi i bambini sono bombardati da gadget elettronici: qual è il ruolo del libro nella loro educazione?

“Mi auguro e spero che il libro di carta non possa mai morire, ma che si giunga ad una naturale convivenza con il libro elettronico o con altri gadget elettronici. Il libro cartaceo permette al bambino di assaporare, da solo o insieme a un adulto che legge, il piacere di sfogliare le pagine, di aspirare il caratteristico profumo di stampa, di ammirare la bellezza di certe copertine e illustrazioni, di certi formati e rilegature che ne fanno piccole opere d’arte. Il bambino può tenere in mano il libro, accarezzarne la copertina, vederlo sulla scrivania, riconoscerlo dal dorso, segnarlo a matita sul bordo della pagina. Il libro di carta gli offre la possibilità di leggere attraverso i cinque sensi, di condividere una storia con un coetaneo o con un adulto, diventando occasione di relazione affettiva. Non penso che un freddo strumento elettronico possa trasmettere la stessa bellezza e lo stesso incanto offerti da un libro illustrato fatto di carta”.

Lorenza Farina è nata a Vicenza dove ha lavorato come bibliotecaria. Le piace scrivere per bambini e ragazzi con una predilezione per le storie ambientate nella natura. Ha pubblicato una ventina di libri tra romanzi, racconti, fiabe e filastrocche, ottenendo molti riconoscimenti. Per Paoline ha scritto La bambina del treno (2010), libro illustrato per i bambini sulla Shoah, e la biografia A braccia aperte dedicata alla figura della religiosa veronese Suor Pura Pagani (2016).

Manuela Simoncelli ha trascorso i primi anni della sua infanzia in Australia, dove è nata da genitori italiani. Ha vissuto poi a lungo a Bologna dove ha compiuto studi artistici completati a Firenze. Ha casa e atelier nei pressi di Bassano del Grappa. Si è data notorietà con molte illustrazioni per libri e giochi destinati all’infanzia. Per le sue illustrazione de La bambina del treno, nel 2012 si è classificata al primo posto alla none edizione del Premio Illustratori di Cento (Ferrara).

Andrea non ha più paura (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

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RADIO CORA

FARINA: “RACCONTARE LA SHOAH AI BAMBINI PER VIVERE IL PRESENTE RESPONSABILMENTE”

A cura di Francesca Magurno.

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“La paura di parlarne è legata alla consapevolezza degli adulti.” Così Lorenza Farina, già bibliotecaria e autrice di libri per bambini, parla della difficoltà di raccontare la Shoah ai piccoli lettori.

“«Tacere è proibito e parlare è impossibile» diceva uno dei sopravvissuti ai campi di concentramento e raccontare le storie dell’Olocausto, già nell’infanzia, influenza i bambini a mantenere la memoria di questi eventi, a costruire una società più tollerante, non perdendo quella speranza di cui sono stati privati i bambini dei campi di concentramento”.

“La narrazione è importante a far capire che in ogni situazione, in ogni luogo per quanto tetro, terribile, crudele nessuno può togliere dal cuore di una persona i suoi sogni, i suoi ideali, la sua dignità di essere umano“. Anche oggi, nei confronti di chi è diverso da noi per colore della pelle o fede religiosa. “Il linguaggio è molto importante quando si parla ai bambini di questi temi. Bisognerebbe usare sempre un linguaggio pacato”.

Fra i libri dell’autrice: Il mal di pancia della luna (Panini ragazzi, 2005) I sogni di Agata (La Margherita edizioni, 2011), Viola non è rossa (Kite edizioni, 2008, ristampa 2013), Il guerriero di legno, (Lineadaria editore, 2014), La bambina del treno (Paoline, 2010), Il volo di Sara (Fatatrac, 2011), La casa che guarda il cielo. Storia di Anna Frank, (Edizioni Raffaello, 2014).

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PASSANDO DA “IL VOLO DI SARA” A “I SOGNI DI AGATA” CONOSCIAMO LORENZA FARINA.

Figli Moderni, 22 febbraio 2015

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Ci sono  autori che quando li leggi ti emozionano sempre,  possono scrivere di qualsiasi argomento ma le emozioni che sanno trasmettere,  con molta poesia,  ti arrivano dritte dritte al cuore ed è difficile dimenticare i loro libri.

Poi ci sono illustratori che disegnano in modo così vivo e reale che non possono far altro che rendere vive le emozioni che l’autore ti trasmette,  non sono più illustrazioni ma fotografie vere e proprie.

Quando hai in mano questi albi illustrati li senti vivi, in ogni pagina, ci “entri” davvero dentro, vivendo ed emozionandoti man mano che li leggi.Ed è proprio di due di questi capolavori che vi voglio parlare oggi: “Il volo di Sara”  e “I sogni di Agata” entrambi scritti da Lorenza Farina e illustrati da Sonia Maria Luce Possentini.

Ne “Il volo di Sara”  la voce narrante è quella di un pettirosso, che vive in un campo di concentramento e già dalla prima pagina l’autrice riesce a farci percepire persino gli odori di quel posto. Il pettirosso vide una bambina, Sara, scendere da un treno che assomigliava ad un carro bestiame.

Sara è bellissima nel suo abitino azzurro, con una fascia dello stesso colore in testa, è scesa insieme alla sua mamma e ad altre donne, bambini, anziani. Il momento in cui Sara scorge il pettirosso è lo stesso in cui un soldato la separa dalla madre e in quel momento l’uccellino decise di prendersi cura di lei.

A Sara vennero tagliati i capelli, venne fatta indossare una casacca a righe con una stella gialla e venne messa insieme ad altri bambini.
Il pettirosso raccoglie del cibo per Sara, cerca di farle compagnia con il suo canto, finché una mattina non la trova più nella baracca ma in fila con degli altri bambini davanti ad una baracca da cui usciva del fumo. Sara ne riconobbe il cinguettio e fu in quel momento che il pettirosso decise di prestarle le sue ali perché potesse fuggire, volare lontano. Altri uccelli decisero di prestare le loro ali ai bambini e uno stormo di bambini si librò nell’ aria, volando via, lontano.

Un albo straordinario che mi fa emozionare moltissimo ogni volta che lo leggo, pensavo che leggere questo libro al mio seienne fosse ancora presto, avevo intenzione di leggerglielo l’anno prossimo e invece una sera l’ha visto, lo ha aperto e dopo averlo sfogliato un po’ mi ha chiesto “mi leggi questo stasera?” così ci siamo sdraiati vicini vicini nel suo lettino e quella sera ci siamo emozionati tantissimo e abbiamo volato anche noi, insieme a Sara!

Di “Il volo di Sara” vi lascio alla visione del booktrailer (Video ideato e realizzato dagli alunni della classe 5B della Scuola Primaria “Anna Frank” di Colonnetta- Direzione Didattica F. Rasetti – Castiglione del Lago- Perugia- a. s. 2012-2013)

Dopo questa lettura straordinaria, ho comprato “I sogni di Agata” e in questo albo Lorenza ci fa entrare nel mondo dei sogni perché Agata ha tanti sogni che racchiude in un armadio fatto di torrone, con i cassetti in marzapane.

Ogni sogno ha il suo cassetto, perché i sogni sono tantissimi: ci sono i sogni scuri, i sogni freschi come quello di camminare a piedi nudi nell’erba, i sogni che fanno ridere, i sogni strampalati dove un cammello perde le sue gobbe nel deserto, ma anche i sogni del cappellaio matto e i sogni ad occhi aperti che si fanno di giorno.

Nella testa di Agata ci sono così tanti sogni che ormai non essendoci più spazio i sogni escono dai cassetti e iniziano a mischiarsi tra loro, a rincorrersi e Agata purtroppo non riesce a tenerli a bada.

Cerca di rimettere ogni sogno nel proprio cassetto ma passa notti insonni, così una notte spalanca la finestra, apre i cassetti dei suoi sogni e li fa uscire tutti fuori. Il vento e la luna, vedendo tutti quei sogni, litigano per chi debba averli per sé ma il sole, vedendo i due litigare, scoppia in una grande risata e i sogni finiscono tutti nella sua bocca.

Il sole da quel momento continua a ridere perché i sogni di Agata, trasformatisi in farfalle,  gli fanno il solletico nella pancia.

Anche in questo albo, come nel precedente, le emozioni sono state tantissime e si sono unite ad un finale divertente, da fiaba, che ci ha aiutato a sognare perché insieme a “I sogni di Agata” si sono uniti anche i nostri. “I sogni di Agata” è un libro che vi verrà chiesto di leggere e rileggere più volte, uno di quei libri di cui i bambini si innamorano a prima vista.

Un albo straordinario che parla dei sogni dei nostri bambini, ma anche di quelli di tutti noi, perché i sogni possono essere di tutti i tipi ma soprattutto la cosa più importante è continuare a sognare e magari, proprio come Agata, lasciarli uscire e provare a realizzarli.

Ma ora voglio presentarvi questa autrice straordinaria, Lorenza Farina.

Ciao Lorenza, hai scritto davvero tantissimi libri per bambini da dove nasce questa tua passione? Perché hai scelto di rivolgerti proprio ai bambini?

Tutte le storie che invento nascono in quel pozzo profondo che è l’infanzia, il tempo in cui le emozioni sono vissute intensamente e ogni esperienza positiva o negativa rimane impressa nell’animo come una cicatrice sulla pelle. Se oggi sono diventata una scrittrice devo dire grazie alle mie nonne che mi hanno trasmesso la loro arte di contastorie. I loro racconti li conservo ancora nello scrigno della mia memoria. In me c’è ancora una parte bambina che si svela nell’attimo dell’invenzione. Crescendo sono diventata bibliotecaria e così ho ”scoperto” e  imparato ad amare la letteratura per l’infanzia, un vero e proprio “giardino segreto” dove è bello perdersi. Leggendo le storie di altri autori ho afferrato delle “visioni” che mi hanno stimolato a diventare a mia volta autrice. Oggi mi dedico a tempo pieno a questa “passione” di cui non posso fare a meno, perché è come il mio respiro. Scrivo storie per far divertire, ma anche storie per far riflettere bambini e ragazzi su tematiche importanti, a volte “forti”.

Tra tutti i tuoi libri qual è quello a cui sei più affezionata, quello che ti rappresenta di più? Quali sono i messaggi che vorresti trasmettere ai tuoi giovani lettori?

E’ difficile rispondere a questa domanda. E’ come chiedere a una mamma quale figlio ama di più. Io amo tutti i miei libri, perché ognuno rappresenta una parte del mio vissuto. “Viola non è rossa” (Kite, illustrazioni di Marina Marcolin) è il mio alter-ego, perché nella piccola protagonista timida e impacciata un po’ mi rispecchio. “Il volo di Sara”(Fatatrac, illustrazioni di Sonia M.L. Possentini) è forse il racconto più perfetto dal punto di vista della scrittura che, in alcuni momenti, raggiunge tocchi di lirismo molto intensi.

I tuoi libri sono sempre pieni di poesia e so che hai vinto anche premi importanti, penso ad esempio al 1° premio dell’11° Concorso Nazionale della Città di Marostica “A. Cuman Pertile” nel 1998 con la tua raccolta di poesie inedite L’albero dei desideri. Da dove nasce questa tua passione?  

Mi viene naturale esprimermi in forma poetica, soprattutto se si affrontano temi non facili come ad esempio quello della “shoah”  o dell’ ”alzheimer” che ho trattato in chiave metaforica nel racconto “Il guerriero di legno” (Lineadaria edizioni). Amo una scrittura ricca, sapida, per nulla banale, una scrittura che ha un suo ritmo, che dà importanza al termine giusto e ai silenzi tra le righe. Ai giovani lettori vorrei far capire che la parola è un valore, un bene che non deve essere “svalutato” per rincorrere un “linguaggio alla moda”.

Nei tuoi libri tratti spesso di Auschwitz, di deportazione, di Shoah.  Il tuo primo libro sull’argomento fu “La bambina del  treno”(Paoline, illustrazioni di Manuela Simoncelli) nel 2010 ,  seguito da “Il volo di Sara”(Fatatrac, illustrazioni di Sonia M. L. Possentini) nel 2011 per finire con “La casa che guarda il cielo”(Raffaello edizioni, illustrazioni di Marcella Brancaforte) in cui ridai vita nuova a “Il diario di Anna Frank” nel 2014. E’ un argomento molto importante e delicato da spiegare ai bambini, come mai hai scelto questo argomento per ben tre dei tuoi libri?

E’ un tema che mi ha sempre interessato fin da bambina, quando sentivo i miei nonni raccontare episodi di guerra dove i protagonisti erano persone vere, conoscenti o amici che non avevano più fatto ritorno, perché avevano trovato la morte in un campo di concentramento. Poi, da adolescente, ho scoperto il Diario di Anna Frank che ancora oggi affascina e commuove tanti giovani lettori. Mai avrei immaginato di dovermi confrontare un giorno con una figura così importante dal punto di vista umano e morale e scriverne a mia volta un romanzo, su proposta delle Edizioni Raffaello, unendo finzione letteraria e realtà storica. Mi sento una testimone “per vocazione”. Ritengo che come adulti dobbiamo riuscire a trovare il pudore delle emozioni, cosa sicuramente non facile, usando delicatezza nel gettare i semi della conoscenza e della coscienza. Si deve conoscere, perché la memoria si costruisce sulla base del sapere. Ne “La bambina del treno”ho raccontato la storia di Anna che, chiusa in un carro bestiame, insieme alla mamma e a tanti altri disperati con la sola “colpa” di essere ebrei, va incontro al suo destino, ignara di ciò che l’aspetta ad Auschwitz.  Ricordo che, dopo averlo letto, più di qualche bambino mi chiese se ci sarebbe stato un seguito al racconto che terminava con un finale aperto. Da questa sollecitazione è nato quindi “Il volo di Sara” dove, con coraggio, mi sono spinta più in là. Ho cercato di raccontare l’indicibile, cioè la storia di una bambina ebrea in un campo di concentramento, narrata però da un osservatore inusuale, un inerme pettirosso che mostra di avere un’anima e una sensibilità che non possiedono invece le “bestie” vere che governano quel luogo di dolore e di morte.

Oggi i testimoni sopravvissuti alla shoah sono pochi e quei pochi col passare degli anni se ne stanno andando, per ragioni di età. Quindi penso sia compito di ogni persona, secondo i talenti e le capacità, passare il testimone, dire, raccontare, scrivere, documentare,perché si sappia ancora e sempre. Perché non accada mai più.

Ne “I sogni di Agata” si parla di sogni  e i bambini ne hanno davvero tantissimi e credo che molti di loro si rivedano in Agata, cosa vorresti che rimanesse nei loro cuori dopo aver letto il tuo libro?

Vorrei che rimanesse in loro la voglia di sognare, di guardare la vita con quel famoso “terzo occhio” che vede oltre l’invisibile, che scopre uno gnomo tra i capelli della mamma, che intravvede un dinosauro in giardino, che ammira una fata ai piedi del letto prima di addormentarsi la sera.

Ora prima di lasciarti, vorrei farti un’ultima domanda che credo incuriosisca un po’ tutti. A quali progetti stai lavorando ultimamente? Ce ne vuoi parlare?

Ho sempre tante storie che mi frullano nella testa come i sogni di Agata che si accapigliano per uscire e camminare con le loro gambe. Tra non molto una di questa storie diventerà libro e si chiamerà  “Sono erba sono cielo”. Speriamo che i giovani lettori se ne innamorino!

Grazie, Lorenza!

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Il “Guerriero di Legno”, intervista a due voci: Lorenza Farina Manuela Simoncelli, 15 settembre 2014

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L’Alzheimer è una tragedia che colpisce moltissime famiglie, nel mondo si contano 25 milioni di casi, in Italia 500.000 persone ne soffrono. Difficile spiegare ai più piccoli quel che succede ad un nonno malato di Alzheimer.
Lorenza Farina nel suo libro “Il Guerriero di legno” illustrato da Manuela Simoncelli, lo fa con toni poetici, in cui traspare il dolore, la malinconia ma con delicatezza e garbo, anche grazie alle splendide illustrazioni che seguono il racconto in perfetta sincronia, intonandosi alle parole.
Abbiamo colto l’occasione per intervistare entrambe.

Il Guerriero di Legno è un bellissimo albo illustrato, che affronta in chiave metaforica il difficile tema dell’Alzheimer. Come mai avete deciso di rivolgervi ad un pubblico così piccolo, e soprattutto quanto è difficile trovare le parole o le illustrazioni adatte?

Lorenza: Questo racconto, intriso di immagini delicate e poetiche, non ha età. È rivolto a grandi e piccoli, perché rappresenta la metafora della vita in cui ognuno si può riconoscere. In questa favola, ambientata nel verde, il tema non facile del declino delle persone che ci hanno amato e che ci sono state di sostegno non ci lascia amareggiati, bensì ricchi di positività e di speranza per il messaggio che ci offre. Ciò che è inevitabile non si deve mascherare né nascondere, tanto più ai bambini, ma accettare e affrontare con amore e riconoscenza. Se una storia nasce dal cuore e non è, quindi, solo cerebrale, anche le parole adatte l’accompagnano seguendo il respiro della fantasia. Allora il filo magico del racconto si dipana e fluisce senza intoppi come un fiume che naturalmente sfocia nel mare. Le illustrazioni poetiche e pregne di significati di Manuela hanno saputo sposarsi magnificamente con le parole creando un connubio perfetto.

Manuela: Lorenza scrive, io illustro e insieme raccontiamo ai bambini.
I nostri interlocutori hanno gli occhi aperti e guardano il mondo con la grande curiosità che li distingue, senza pregiudizi.
«Il Guerriero di Legno» affronta una tematica delicata, sicuramente non facile. I bambini, attraverso il racconto metaforico e la mediazione dell’adulto che legge, hanno modo di capire meglio cos’è l’Alzheimer, questa misteriosa malattia e le trasformazioni subite da chi ne è colpito.
Visto che, in famiglia, oggi ci sono sempre più casi di malati di Alzhemer, Lorenza ed io abbiamo creduto fortemente che questo progetto possa offrire ai bambini un’utile chiave di lettura per avvicinarsi all’argomento.
Oggi più che mai l’Alzheimer sta diventando una presenza oscura che debilita soprattutto psicologicamente chi sta vicino al malato. Più informazioni si offrono, più si aiutano i familiari a non sentirsi soli.
Lorenza, con la sua sensibilità, ha scritto questa poetica storia pensando al declino fisico e mentale di una vita. In autunno, con la perdita delle foglie, l’albero metaforicamente ci ricorda un’apparente morte. Un’amnesia senza ritorno che cancella un vissuto glorioso, ogni traccia del passato. L’uomo è il suo passato. Nello smarrimento ha più che mai bisogno di avere vicino qualcuno che possa rimembrare la «nobile» figura che è stato.
Lamberto, mio padre, a cui ho dedicato il libro, ha percorso questo tortuoso cammino.
Con le mie figlie, Sara ed Elena, mio marito Fabio, la nonna Graziella, Karima, la dolce badante, insieme lo abbiamo accompagnato con sofferenza ma anche con le piccole gioie che ci illuminavano il cammino, come un sole a braccia aperte (come in una delle immagini del libro).

Ci è piaciuta molto la sinestesia del racconto, cioè la capacità delle illustrazioni, nei colori e nei tratti di seguire la storia (colori tristi quando la storia è triste, colori allegri quando è allegra). Quanto è importante in un albo illustrato la sintonia fra l’autore e l’illustratore?

Lorenza: È fondamentale. L’immagine deve dialogare con il testo nella reciproca autonomia espressiva e formale. Mi affascina questa forma di racconto a “doppia voce”, mi piace vedere come parole e immagini si giustappongono, giocando a rimpiattino. Una descrive, l’altra evoca, una toglie, l’altra aggiunge in un avvicendamento perfetto creando un prodotto unico, mai statico, fruibile attraverso gli occhi, le orecchie, il respiro della narrazione. Manuela, com’è giusto, è stata libera d’interpretare l’anima del racconto e solo, a lavoro ultimato, ho potuto ammirare le sue tavole ricche di chiaro/scuri che svelano le emozioni dei personaggi. Come ha felicemente rilevato Marcella Terrusi, la radice etimologica di “albero” e “albo” è la medesima e vuol dire “bianco: il bianco del pioppo, il bianco del muro su cui si può scrivere, il bianco della pagina”, il bianco delle possibili superfici come le foglie scritte degli alberi di questo racconto che tramandano le storie del Guerriero di Legno. Storie che vivranno per sempre oltre lo spazio e oltre il tempo anche quando le forze si logorano e la memoria svanisce. Il libro illustrato come una casa sull’albero è davvero “uno spazio autentico per raccontare il mondo nella sua complessità”.

Manuela: Ecco quindi la sintonia fra me e Lorenza, fra parole e immagini.
I colori che ho scelto vengono dalla tavolozza che mi appartiene intimamente. A volte cupi, a volte luminosi, sono il risultato di un’esperienza vissuta oltre che raccontata.

Il racconto è bello di per sé, anche senza legame con la malattia, secondo voi è meglio leggerla senza commentare nulla, lasciando che il bambino elabori da solo i suoi pensieri e i suoi collegamenti, oppure è preferibile raccontare quali sono le ispirazioni di questa storia e i riferimenti all’Alzheimer?

Lorenza: Lettura e libertà sono un binomio perfetto. I bambini possiedono la chiave segreta per aprire tutte le porte e per scoprire ciò che ” è invisibile agli occhi” e per rendere semplice ciò che apparentemente è complesso. Nascosti tra i rami, il loro sguardo va oltre l’orizzonte per sondare temi complessi come la vita, il dolore, la malattia e la morte, senza chiusure mentali o falsi moralismi, ma con cuore aperto.

Manuela: Parlare ai bambini è forse più facile, per la sana curiosità che li rende più disponibili, più ricettivi. Con poesia si possono trasmettere cose «belle» e cose «meno belle». Nella tradizione della fiaba troviamo spesso questo contrasto con repentini cambi di scena, con situazioni allegoriche.

Per Lorenza: Come mai ha scelto proprio un albero per rappresentare la perdita della memoria?

Lorenza: L’albero ha sempre accompagnato l’essere umano fin dalle origini, fedele compagno, simbolo della vita in continua evoluzione ed espressione di fecondità. L’albero, secondo antichissime tradizioni, siamo noi stessi e il nostro destino è intimamente connesso al suo. La metafora dell’albero è particolarmente cara alla tradizione della letteratura per l’infanzia e raffigura l’avventura della crescita. Le sue invisibili radici si ricollegano a quel misterioso mondo della madre terra, quel “sotto” che seduce tanto i bambini e, i tra i suoi rami protesi verso l’alto, i giovani protagonisti dell’avventura, come dice Faeti in un bellissimo saggio, “sono sospesi dalle leggi della natura e abitano uno spazio immaginativo a sé, simbolicamente connesso con il volo e l’infanzia”. Il Guerriero di Legno, che in gioventù ha tanto dato, alla fine della sua vita perde la memoria, come accade a molte persone, ma ciò che ha donato non andrà perduto. Qualcun altro riceverà il testimone e continuerà a seminare altre storie, altre emozioni sull’esempio ricevuto.

Per Manuela: Lo stile delle illustrazioni è molto particolare, quali sono le ispirazioni o gli eventuali riferimenti?

Quando si perde la memoria, c’è una rottura con il passato, ma anche con il presente che non riesci più a decodificare. Le esperienze di vita vengono annullate e si sbiadiscono le tracce che hanno formato l’individuo.
Metaforicamente, come ho già detto, l’albero descrive questo disagio. Il riposo invernale è in qualche modo simile alla fine di un ciclo vitale, della vita stessa.

La foresta di parole e di libri è una metafora molto bella con gli alberi. Pensavamo all’allestimento di “Quante storie” dove tanti libri erano legati a dei fili creando così una sorta di foresta in cui entrare. Le linee sinuose delle immagini lo suggerisce. È casuale? Pensate di presentare il libro nelle biblioteche con rappresentazioni di questo tipo?

Lorenza: La Foresta di Parole può essere il libro, la biblioteca. Attraverso questa metafora s’intende, quindi, sottolineare la bellezza e la completezza che la lettura offre e anche la ricchezza della trasmissione orale di esperienze e di tradizioni, che altrimenti andrebbero perdute. In un passato meno caotico e tecnologico del nostro tempo, questo era spesso il solo modo di non perdere il contatto con la storia e con il vissuto quotidiano. La favola e la fiaba erano gli strumenti di insegnamento e di guida alle nuove generazioni. I ricordi suscitavano curiosità e rafforzavano i legami familiari e interpersonali. La memoria era veicolo di trasmissione. Anche questi sono temi non banali su cui riflettere. Sì, certamente, presenteremo il nostro racconto anche nelle biblioteche. Ci piace l’idea di un “albero dei ricordi”, fatto di legno o di cartone tra i cui rami i bambini e i nonni o gli adulti in genere possano appendere foglie di carta su cui scrivere un ricordo d’infanzia o un’esperienza significativa di vita e poi leggerlo insieme ad alta voce, in uno spirito di serena condivisione.

Manuela: Lo strappo della carta imbevuta di colore, stesa sulla superficie di un foglio bianco o colorato, regala trasparenze delicate, su cui tracciare i primi segni di una nuova storia.
Questa è la tecnica con cui inizio il viaggio dell’illustrare.
Cerco poesia in quello che faccio, evito la descrizione didascalica, preferisco il particolare narrativo e complementare al testo dell’autore. Sarà per me e Lorenza interessante e gratificante presentare «Il Guerriero di Legno» ai bambini. Ci sarà la progettazione e realizzazione di un’installazione che ci aiuterà a stimolare, interagire più vivacemente e creativamente con i nostri interlocutori piccoli e grandi.

C’è una domanda che non vi abbiamo fatto alla quale avreste voluto rispondere?

Lorenza: “A chi è dedicato questo racconto?”
A mio padre che mi ha donato salde radici e rami forti che mi hanno avvolto con tenerezza. A lui mi sono ispirata per creare il personaggio del Guerriero di Legno. Quando ha raggiunto l’inverno della vita, egli mi ha lasciato una preziosa eredità fatta di “visioni” che ora trasformo in storie, piccoli semi che pianto nella mente e nel cuore dei giovani lettori, sperando che possano attecchire e un giorno dare buoni frutti.

Manuela: Alla domanda che non mi è stata fatta rispondo:…..”Sì sono contenta di aver lavorato con Lorenza a questo progetto, come al precedente «La Bambina del Treno» (Paoline edizioni). Sono sicura che tra le pagine de «Il Guerriero di Legno» potrete trovare molto di più di ciò che ho detto.
Buona lettura!

Redazione Officina Genitori

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                                                                                                                                                  CRISTINA MARSI, Intervista a Lorenza Farina domenica 13 novembre 2011

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Come mai ha deciso di scrivere per i bambini e i ragazzi?

Per rispondere a questa domanda devo parlare della mia professione. Io lavoro da parecchi anni come bibliotecaria, occupandomi di libri per ragazzi e di problematiche legate alla lettura e alla letteratura per l’infanzia. Questo lavoro mi permette di stare accanto ai giovani lettori e ai libri rivolti a loro e di stimolare quotidianamente la mia fantasia. Inventando storie o facendo la bibliotecaria ho scoperto che il fine è lo stesso: avvicinare i bambini e i ragazzi al piacere della lettura. Mi piace scrivere per bambini, perché c’è ancora una parte di me che è rimasta bambina e che ama fantasticare, inventare situazioni e personaggi. Quando scrivo delle storie molti sono, infatti, i riferimenti anche “inconsci “ alla mia infanzia. Sono convinta che, in fondo, tutte le storie che si raccontano pescano dentro quell’unico pozzo profondo che è l’infanzia.

A che tipo di storie preferisce dedicarsi?
Mi sono cimentata in vari generi letterari: romanzi, racconti e fiabe per i più piccoli con una predilezione per le storie ambientate nel verde, perché i prati, la siepe, l’orto, sono come libri da “sfogliare” e da “leggere“ con rispetto e amore. Scrivo sia storie divertenti, ma anche storie che fanno riflettere, come ad esempio i due racconti illustrati che parlano della Shoah, La bambina del treno (Paoline, 2010, illustrazioni di Manuela Simoncelli) e Il volo di Sara (Fatatrac, 2011, illustrazioni di Sonia M.L. Possentini). Amo le storie brevi che si adattano ad un libro illustrato, non perché sia più facile scriverle rispetto a un romanzo. La storia breve ti permette di cogliere l’attimo, è come “un’epifania” che si svela in tre cartelle. Non a caso le mie autrici preferite sono Virginia Woolf e Katherine Mansfield che hanno saputo trasferire nelle loro opere i “momenti d’essere” della vita.

Ci racconta quando scrive, il suo tavolo da lavoro, e se preferisce la carta o il pc?
A me capita di avere l’idea di una storia nei momenti e nei luoghi più imprevisti: ad esempio quando in cucina sto mescolando il risotto, quando passeggio per la strada o prima di prender sonno. In quei momenti è importante aver vicino un foglio e una penna per fermare sulla carta l’idea che viene in mente in modo che non svanisca. Qualche volta mi bastano poche frasi, talvolta una parola per delineare una storia.
A volte un racconto può nascere da un ricordo d’infanzia, da una persona intravista in treno, da qualche esperienza o da un fatto letto sul giornale o visto alla TV, dalla lettura di un libro. Altre volte, invece, una storia non nasce in modo immediato, ma impiega molto tempo per prender forma, per delinearsi.
Ci sono tante immagini che si raccolgono in tempi diversi in diversi angoli del cervello, poi quando queste immagini diventano numerose, comincio a scriverle e a fissarle su un foglio di carta.
Dopo un periodo di tensione durante il quale mi sembra di vivere come in un mondo di sogno di cui immagino sensazioni, odori, colori, la scena comincia a delinearsi nella mia testa.
Allora all’improvviso e in modo misterioso si avvicina quel momento magico in cui tutte le cose che ho pensato a lungo nel corso di settimane o di mesi si amalgamano insieme, prendono corpo.
Scrivo in cucina o nel mio studio. La prima stesura è sempre fatta a mano su fogli di carta riciclata e poi trascrivo nel pc.

Ci sono delle consuetudini, situazioni o atmosfere che cerca di ritrovare o ricreare perché aiutano il suo processo creativo?
Per scrivere una storia ho bisogno di concentrazione, quindi di un ambiente silenzioso, magari seduta di fronte ad una finestra che dà su uno spazio verde. Mi aiuta a rilassarmi e a “volare” con la fantasia in un mondo immaginario.

Sta lavorando a qualcosa di nuovo in questo periodo?
Sto scrivendo un racconto biografico su Anna Frank e poi ho in mente altre storie per dei libri illustrati, un genere che mi piace molto, perché attraverso le immagini il bambino lettore può avvicinarsi all’amore per l’arte.
Ha mai sognato il personaggio di una delle sue storie dopo averlo inventato?
Di solito i personaggi mi “perseguitano” mentre sto inventando la storia che li vede protagonisti. Poi, una volta terminato il racconto, essi continuano a vivere di vita propria e “mi lasciano in pace”, se così si può dire.

C’è qualcosa che vorrebbe lasciar detto in questa intervista?
Una riflessione, un pensiero, ciò che preferisce, ci dica.
Vorrei avere più tempo da dedicare a questa mia passione, ma in realtà l’amore per le storie e per i libri è così irresistibile che il tempo lo trovo sempre! E in questo “tempo rubato” ogni volta accade la magia del racconto.
Alcuni affermano che la letteratura per i ragazzi è di serie B.

Cosa rispondere a chi la pensa così?
Forse qualche tempo fa la letteratura per ragazzi era considerata la Cenerentola della letteratura. Oggi ha fatto passi da gigante e si è trasformata in una bella principessa, grazie al lavoro molto professionale e creativo di autori, illustratori ed editori che amano i libri per bambini e per ragazzi.

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10 GENNAIO 2012

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IL VOLO DI SARA. INTERVISTA A DUE VOCI.

“Il volo di Sara” è un libro per bambini, edito da Fatatrac, che con raro equilibrio tra realtà e poesia, dolore e speranza, accompagna i lettori più giovani ad affrontare il tema della Shoah.Alcuni sostengono che sia impossibile quando non sconsigliabile affrontare argomenti tanto dolorosi della nostra storia con i bambini, in Officina Genitori la pensiamo diversamente e abbiamo accolto con sincero entusiasmo questa novità editoriale; a Lorenza Farina e Sonia Maria Luce Possentini, rispettivamente autrice ed illustratrice de “Il volo di Sara” abbiamo voluto rivolgere alcune domande.

L’editoria infantile è sempre più attenta a cercare le parole e le illustrazioni adatte per parlare di argomenti difficili e dolorosi anche ai più piccoli, qual è la vostra percezione in merito?
Lorenza Farina:
Come autrice, ma soprattutto come bibliotecaria, quindi da un osservatorio privilegiato, mi sono resa conto che, in questi ultimi anni, l’editoria per l’infanzia ha affrontato attraverso albi illustrati e libri per bambini dei temi considerati un tempo tabù, come la morte, la disabilità, la diversità, il sesso. Ritengo che i libri siano un ottimo strumento di conoscenza e di crescita, dei fidati compagni di viaggio che aiutano i bambini a percorrere i momenti difficili della vita, sentendosi meno soli. Sta all’adulto saper scegliere tra le varietà di proposte, trovando quelle più adatte. “Non c’è nave che possa come un libro”, diceva, a ragione, la poetessa Emily Dickinson, per traghettare il lettore, giovane o adulto, verso un altrove dove convivono fantasia e cruda realtà.

Sonia Maria Luce Possentini:
Non sono molto ottimista in merito.
Credo nella verità, che non sempre è adattabile.
Cercare l’essenziale e renderlo visibile agli occhi, oltre che essere un riferimento al Piccolo Principe, è uno dei rischi che l’editoria (e non solo), deve continuare a prendere. A cosa servirebbe rifugiarci nella rappresentazione di un mondo irreale in cui gli incubi e i ricordi non esistono e dove tutto rimane congelato sulla superficie?

Esiste secondo voi un argomento non affrontabile?
Lorenza Farina:
Penso che ogni argomento sia affrontabile se trattato con la dovuta delicatezza, la sensibilità e la responsabilità morale che ogni adulto dovrebbe avere quando si rivolge ad un bambino. Non è comunque cosa facile e automatica.

Sonia Maria Luce Possentini:
Assolutamente no.

Com’è nata l’idea di questo libro?
Lorenza Farina:
Questo libro è la naturale continuazione de “La bambina del treno”, un altro mio albo illustrato sulla Shoah, pubblicato l’anno scorso per i tipi delle Paoline, dove si narra la storia di Anna che, chiusa in un carro bestiame, insieme alla mamma e a tanti altri disperati con la sola “colpa” di essere ebrei, va incontro al suo destino, ignara di ciò che l’aspetta ad Auschwitz. Ne “Il volo di Sara”, mi sono spinta più in là. Ho cercato di raccontare l’indicibile, cioè la vita di una bambina ebrea in un campo di concentramento, narrata però da un osservatore inusuale, un inerme pettirosso che mostra di avere un’anima e una sensibilità che non possiedono invece le “bestie” vere che governano quel luogo di dolore e di morte. Appena Sara, all’arrivo, verrà separata dalla madre, l’uccellino decide di farle da padre e da madre, proteggendola. È un racconto ricco di simboli e di metafore, dove le parole e i colori hanno un valore simbolico. Non c’è un lieto fine anche perché nella storia vera, quella con la S maiuscola, non c’è stato un lieto fine. Di fronte alla tragedia umana, comunque, c’è una piccola via d’uscita che qui è rappresentata dalla figura dell’uccellino che starà sempre accanto alla bambina e la proteggerà fino a donarle le sue ali per l’ultimo volo.

Sonia Maria Luce Possentini:
Personalmente sono stata contattata dall’editore, persona che stimo e considero piena di coraggio. Non è stato facile per me ricevere questo incarico, il coraggio credo che ce lo siamo divisi in due.

Cosa vi ha spinto ad occuparvi di questo tema?                                                          Lorenza Farina:
È un tema che mi ha sempre interessato, fin da bambina quando sentivo i miei nonni raccontare episodi di guerra dove i protagonisti erano persone vere, conoscenti o amici che non avevano più fatto ritorno, perché avevano trovato la morte in un campo di concentramento. Poi, da adolescente, ho scoperto il Diario di Anna Frank che ancora oggi affascina e commuove tanti giovani lettori per la sua grande forza morale e umana. Attraverso il mio lavoro di bibliotecaria ho letto vari libri su questo tema, rivolti ai ragazzi. La mia vuol essere una letteratura testimonianza anche se prodotta da una finzione letteraria, importante perché aiuta grandi e piccoli a non dimenticare. Il narrare ha sempre un ruolo salvifico, perché “nei momenti bui – come ricorda la poetessa Vivian Lamarque – abbiamo bisogno ancora che qualcuno ci canti”.

Sonia Maria Luce Possentini:
Il mio impegno civile, una scelta ponderata e sofferta.

Quando è secondo voi il momento giusto per parlarne a un bambino?                    Lorenza Farina:
In attesa che i bambini possano, crescendo, approfondire a livello scolastico questo argomento inserendolo in un definito ambito storico, si può loro offrire un racconto per immagini, come questo albo illustrato, che trova vie più adatte alla loro età e sensibilità. Già dal secondo ciclo della scuola primaria s’inizia ad affrontare in classe il tema della Shoah, secondo modalità e strumenti adatti a questa fascia d’età.

Sonia Maria Luce Possentini:
Ribalto la domanda, qual è il momento giusto per liberare tutta l’infanzia dai soprusi che il mondo degli adulti gli riserva ancora, e ancora e ancora…?

Che reazione aspettarsi in un piccolo lettore de “Il Volo di Sara”, e come continuare eventualmente il discorso?                                                                   Lorenza Farina:
Lo sguardo infantile di Sara è in fondo lo sguardo di ogni lettore bambino che, guardando queste figure, vorrà sapere e avrà bisogno di un adulto che risponda alle sue domande. Ma l’orrore va affrontato e sconfitto e di questo i bambini sono forse più consapevoli degli adulti. Come adulti dobbiamo riuscire a trovare il pudore delle emozioni, cosa sicuramente non facile,usando delicatezza nel gettare i semi della conoscenza e della coscienza. Si deve conoscere, perché la memoria si costruisce sulla base del sapere.

Sonia Maria Luce Possentini:
Domanda un pò provocatoria ma alla quale felicemente rispondo e vorrei rispondere:
“I bambini nella logica nazista erano i primi a dover essere eliminati.
Questo perché erano bambini cioè rappresentavano la trasmissione culturale […] uccidere i bambini significava ucciderne il futuro. Ma i bambini sono pure d’ostacolo all’efficienza del sistema. Essi erano irritanti per i nazisti”.
Le parole dello scrittore, dell’illustratore o del testimone a mio avviso, non sono mai sufficienti, si fermano sempre a un passo di là dall’incredibile, lasciando al lettore il compito di comprendere fino in fondo con quale angoscia, con quale sofferenza, con quale sentimento, milioni di uomini, donne e bambini, hanno dovuto subire quel processo di annientamento. Raccontare quel dramma spaventoso significa, quindi, entrare in una contraddizione irrisolvibile, che E. Wiesel enuncia così: “Tacere è proibito, parlare è impossibile”. Bisogna conservare la memoria di quegli eventi, impedire che siano cancellati dal tempo, ma trovare le parole per dire tanta violenza, tanta disumanità, è forse impossibile. Le reazioni alla verità sono sempre inaspettate.

Suggerireste a un genitore o ad un insegnante d’introdurre il contesto storico, prima o dopo la lettura del libro?                                                                             Lorenza Farina:
Penso che le domande sul periodo storico emergeranno naturalmente durante la lettura, sta all’insegnante o al genitore illustrarle poi al giovane lettore secondo i modi e i criteri adatti all’età di riferimento.

Sonia Maria Luce Possentini:
Certamente, ma occorre anche far conoscere ai bambini e ai ragazzi la lingua italiana, che abbiano dimestichezza con il vocabolario e con gli aggettivi. Perché non si può fare a meno di dover dire che, nel secolo in cui abbiamo vissuto, accadde qualcosa di orrendo, tragico, atroce, disumano, abominevole, folle, crudele, apocalittico, abissale, vergognoso, illogico, insopportabile, irresponsabile, disperato, vile; Qualcosa di così inenarrabile e laido che anche oggi, in talune occasioni, e in alcune parti del mondo, osi riproporsi. Occorre che comprendano in pieno il significato di tutti questi aggettivi, e non solo, e la nostra memoria deve immediatamente interrogarsi alle parole.
L’educazione al senso civico nasce e cresce non solo da concetti e istruzione, ma anche dalla visione di volti consumati, rugosi, assenti, di gesti, di voci… dalla visione di una luce che esce dagli occhi di chi ha illuminato di sguardi la profondità del dolore. La scuola non può perciò esimersi dall’assumere per intero il compito di insegnare e soprattutto ricordare la Shoah. Perché la domanda resta, mette in questione, impone, esige una risposta e la risposta è un dovere che viene dal passato e si proietta nel futuro. Ricordare per interrogarsi.

Sonia, hai avuto delle difficoltà nell’illustrare un libro rivolto ai bambini che tratta un tema così delicato, e se sì quali?                                                                             Sonia Maria Luce Possentini:
Sì, ma ho voluto raccontarlo con forza, forse per qualcuno è incomprensibile forse anche perché siamo diventati incapaci di guardare con disincanto alle cose.
Brutte o belle che siano.
A un certo punto della mia vita ho cominciato a essere molto sensibile alla sottrazione della verità che gli adulti fanno ai bambini: infatti, è da quel gesto così pieno di significato, fatto per lo più con sistematica incoscienza, che ha origine il “trascinarsi” del mondo deprivato della verità. I bambini cercano la verità, il bambino coglie la verità nell’attimo in cui si rivela.
La verità è rivoluzionaria e lo sarà sempre.
Ma da sempre, dagli inizi della storia collettiva dell’uomo, essa è manipolata e sottratta, spesso lasciando un’amara rassegnazione all’infelicità.

Officina Genitori ha pubblicato già da qualche anno una bibliografia, che viene aggiornata costantemente, di libri rivolti ai bambini e ai ragazzi relativa alla Shoah, questa vostra pubblicazione vi entra di diritto e nel segnalarla ci piacerebbe riportare il vostro pensiero, quale consiglio dareste ad un genitore o ad un insegnate che volesse apperocciare l’argomento?

Lorenza Farina:
I testimoni sopravvissuti alla Shoah sono pochi e quei pochi col passare degli anni se ne stanno andando. Quindi penso sia un dovere morale di ogni persona, secondo i talenti e le capacità che ognuno possiede, passare il testimone, dire, raccontare, scrivere, documentare, perché si sappia ancora e sempre. Perché ciò che è stato non accada mai più. Ne “Il volo di Sara” paura e sofferenza s’intrecciano con la fantasia e la forza dell’innocenza. Questo libro vuol essere un invito alla conoscenza e uno stimolo alla riflessione. Esso vuol accompagnare grandi e piccoli in un viaggio ricco di metafore, a cavallo tra realtà storica e immaginazione. Le intense illustrazioni di Sonia illuminano il racconto e costituiscono una sorta di narrazione parallela che offre nuovi spunti per dire l’indicibile.

Sonia Maria Luce Possentini:
Leggere il libro di Walter Fochesato: “Raccontare la guerra” di Interlinea Edizioni. Scrive della Shoah ma anche delle guerre. Un testo che personalmente mi ha aiutato molto, mi ha afferrato per mano, mi ha consolato e fatto riprendere in mano la matita verso questo lavoro, e che mi ha inoltre ricordato quello che Walter Fochesato scrive:
“La presa di coscienza del “non senso” della guerra credo che passi attraverso l’esame delle guerre stesse e non in una debole e sovente noiosa perorazione attorno alla pace”.
Un saggio che prende in esame e fa riflettere. Dà responsabilità e rende consapevoli. Dà voce anche a chi non c’è più, per portarci memoria e interrogazione. C’è una domanda che non vi abbiamo fatto alla quale avreste voluto rispondere? Lorenza Farina:

Vorrei rispondere a questa domanda: A chi è dedicato questo libro?
Risposta: A tutti quei bambini a cui è stata strappata l’infanzia. Sonia Maria Luce Possentini:
Sì, due. Chi era tuo nonno, tuo zio e a quale età hai conosciuto la Shoah…

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LA DOMENICA DI VICENZA, 

Il dramma dell’Olocausto raccontato attraverso gli occhi dei bambini

5 FEBBRAIO 2011

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Jarek e Anna, due bambini ai tempi della seconda guerra mondiale. Sono i protagonisti della toccante favola raccontata nel libro illustrato “La bambina del treno” (Edizioni Paoline), scritto e disegnato da due vicentine, Lorenza Farina e Manuela Simoncelli e presentato in questi giorni a Vicenza e Bassano del Grappa in occasione delle numerose iniziative per la Giornata della Memoria del 27 gennaio. Anna aveva una stella sul vestito, Jarek no. Anna stava sul treno che l’avrebbe portata ad Auschwitz, Jarek era lungo i binari per vedere i treni passare. Eppure, per pochi istanti, le loro storie si sarebbero incrociate sul ciglio di una strada. «Quando il treno gli passò davanti, il bambino sollevò la testa e i loro sguardi s’incrociarono a lungo come se volessero confidarsi un segreto. Anna agitò una mano in segno di saluto. Il bambino, accovacciato tra l’erba, ricambiò il suo gesto. Il treno proseguì la corsa finché il bambino non fu che un puntino e poi scomparve. Jarek seguì il treno con gli occhi finché sparì alla sua vista». Due bambini che chiedono alle loro mamme perché, ma le risposte sono difficili da dare. Due storie diverse che l’autrice fa incrociare. Come rispondere? Cosa dire davanti alla logica dei bambini? La vicenda raccontata in queste pagine è inventata, ma le circostanze del racconto sono la parte buia della nostra storia che non si può eludere. Difficile trovare parole adatte per spiegare l’olocausto ai giovanissimi. Difficile anche trovare immagini adeguate. Questo libro però, per l’eleganza dei disegni e il candore del linguaggio, è riuscito nell’intento. Con uno stile narrativo delicato, con illustrazioni dal forte carattere emotivo e metaforico e che possono aiutare insegnanti e genitori a raccontare una storia che non può essere taciuta.

Lorenza Farina, bibliotecaria a Vicenza, ha pubblicato una ventina di racconti per l’infanzia ottenendo numerosi riconoscimenti letterari. Farina, come si può parlare oggi dell’olocausto ai bambini? Quali parole si devono usare per far loro comprendere questa grande tragedia, senza intaccare la loro fiducia negli esseri umani?

«Forse il linguaggio della narrazione è quello più appropriato, una narrazione dove i fatti siano visti appunto dagli occhi di un bambino che ancora non sa spiegarli: sente che qualcosa di terribile incombe, ma non sa cosa sia. Ci sono due viaggi nel racconto: uno è quello che compie la bimba ebrea. È un percorso senza ritorno su un treno sorvegliato da uomini che non sanno vedere ciò che stanno facendo. La bimba ha ancora vicino a sé la mamma che la protegge e la consola e quel gruppo quasi invisibile di infelici che dividono con lei il pochissimo che hanno. Chiusa nel ventre del treno, che assume nell’incubo l’aspetto dell’eterno mostro che tutto inghiotte, ogni tanto viene alzata verso una minuscola feritoia dalla quale può prendere una boccata d’aria e vedere uno spicchio di cielo azzurro. La piccola va incontro al proprio destino ignara di ciò che l’aspetta, con la sapienza e la grazia proprie dell’innocenza. L’altro viaggio è quello compiuto dal bambino il cui sguardo incontra quello della piccola ebrea sul treno. È il viaggio verso la consapevolezza, verso la comprensione che c’è qualcosa di cattivo nel mondo, qualcosa che ha infranto perfino la speranza. I due sguardi si incontrano in un paesaggio bellissimo, in una giornata che potrebbe essere perfetta per giocare in mezzo ai campi, per rotolare fra l’erba e ridere a crepapelle. Ma qualcuno ha rubato l’infanzia a tutti e due oscurando il sole nel cielo e la gioia nell’anima. C’è una frattura nel racconto che simboleggia lo spezzarsi dei cuori, lo squarcio spaventoso di un arco temporale fra il prima e il dopo. Una frattura non ancora ricomposta, se dobbiamo ricordare tutto ciò e farlo ricordare ai bambini, perché non accada mai più».

Il libro, presentato nell’Areopago del centro culturale San Paolo di Vicenza con le letture coinvolgenti di Franca Grimaldi e l’accompagnamento alla chitarra di Riccardo Bertuzzi, avvince ed emoziona grandi e piccoli, anche per la bellezza delle immagini di Manuela Simoncelli, formatasi artisticamente a Bologna e a Firenze e illustratrice di libri e giochi per l’infanzia. Simoncelli, quanto contano le immagini per raccontare una storia come questa?

«L’illustrazione è una storia parallela al racconto, una sorta di storia nella storia. A volte ciò che nel testo non è detto, affiora attraverso l’immagine, le sue forme e i suoi colori. All’inizio, quando Lorenza mi chiese di illustrare il suo libro ero perplessa, non sapevo come fare, da cosa partire. Poi ebbi l’intuizione della farfalla e da lì si sviluppò tutto il lavoro successivo. La farfalla, che non viene mai nominata nel testo, ma che compare nei miei disegni, ha una valenza, un significato molto importante. Appoggiata sul filo spinato nell’immagine di copertina, la farfalla simboleggia tutto ciò che nei lager veniva brutalmente negato: la speranza, la libertà, la leggerezza, la vita».

Come le autrici stesse hanno ricordato, il lettore potrà andare a ritroso nella memoria ai bellissimi versi di Pavel Friedman (Praga 1921 – Auschwitz 1944), ragazzo ebreo deportato dai nazisti, che immortalò nella poesia “La farfalla” il senso stesso della sua gioventù negata.

L’ultima, proprio l’ultima,

di un giallo così intenso, così assolutamente giallo,

come una lacrima di sole quando cade sopra una roccia bianca

così gialla, così gialla!

L’ultima, volava in alto leggera,

aleggiava sicura per baciare il suo ultimo mondo.

Tra qualche giorno

sarà già la mia settima settimana di ghetto:

i miei mi hanno ritrovato qui

e qui mi chiamano i fiori di ruta

e il bianco candeliere di castagno nel cortile.

Ma qui non ho rivisto nessuna farfalla.

Quella dell’altra volta fu l’ultima:

le farfalle non vivono nel ghetto.

«Pavel, che fu anche rinchiuso nella fortezza ghetto di Terezin, oggi Repubblica Ceca, scrisse la poesia poco prima di morire – racconta Farina – La Gestapo utilizzò Terezin come campo di concentramento per 144 mila ebrei, dei quali 33 mila morirono, la maggior parte a causa delle disumane condizioni di vita. Circa 88 mila prigionieri furono deportati verso Auschwitz ed altri campi di sterminio. Pavel fu uno di loro e lì trovò la morte». Quello della Shoah vista con gli occhi dei bambini è un tema che anche il cinema ha sfruttato, come nel caso del bellissimo “Il bambino con il pigiama a righe”, tratto dal libro di John Boyne e proiettato proprio giovedì 27 gennaio in due scuole di Vicenza. Lo stesso giorno il libro di Farina e Simoncelli si presenta anche alla libreria Galla Girapagina, in un altro appuntamento dedicato a ragazzi e genitori con le letture dell’attore Pino Costalunga.

Farina, questo libro che ora raccoglie molto interesse in realtà ha avuto un percorso difficile…

«Avevo mandato la bozza a diversi editori, ma nessuno l’aveva pubblicata ritenendola difficile per un pubblico di bambini. Un giorno conobbi Luciana Tedesco, scrittrice ebrea di Roma che da bambina conobbe il dramma del nazismo e che ha scritto alcuni libri sul tema (come il recente Ragazzi nella Shoah, ndr). Le feci leggere il mio libro e nacque tra noi un’amicizia epistolare. Mi consigliò di contattare l’editore che pubblica i suoi libri, e un mese dopo anche il mio è stato pubblicato. Luciana è convinta che sia molto importante ricordare, e soprattutto far conoscere alle nuove generazioni gli errori del passato, per non ripeterli più».

Farina, lei lascia al lettore un finale sospeso, senza dire esattamente cosa accadrà… perché?

«Ho pensato che fosse meglio lasciare che i giovani lettori immaginassero un loro finale, senza entrare nel dettaglio preciso. In questo modo credo che si lasci spazio all’immaginazione, che per i bambini è essenziale, e si permetta loro di creare anche un percorso alternativo a quello che la realtà, come purtroppo noi adulti ben sappiamo, aveva già scritto in modo tragico».

nr. 04 anno XVI del 5 febbraio 2011

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